Contagio Coronavirus: Quando il datore di lavoro è responsabile?

04 May 2020

La fase 2 dell’emergenza COVID -19 impone a tutte le attività chiuse dal lockdown di poter riaprire solo ed esclusivamente mettendo in atto quelle misure di prevenzione e protezione anti-contagio previste dal D.P.C.M del 11.03.2020, nonchè dal Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 14/03/2020 aggiornato al 24 aprile 2020 e dal Protocollo condiviso anti-contagio nei cantieri edili del 19/03/2010 aggiornato al 26 aprile 2020 e il Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020

 

Ma cosa succede in caso di contagio da Covid -19 di un dipendente di una società?

 

Il datore di lavoro può in astratto essere ritenuto responsabile quando si verificano due elementi:

  • Accertamento che il contagio di un lavoratore sia avvenuto in occasione del lavoro (quindi anche in itinere ovvero durante il percorso casa-lavoro e viceversa).

E’ onere del lavoratore (o dei suoi eredi), ad eccezione di coloro che operano nell’ambito sanitario per i quali  è applicabile la presunzione di cui alla Circolare INAIL del circolare INAIL 60010 del 17.3.2020 , dimostrare di aver contratto il coronavirus in occasione dell’ attività lavorativa.

La sussistenza del nesso causale tra il contagio e l’ambiente di lavoro è evidentemente problematica, in quanto occorrerà dimostrare che il contagio non si è verificato a casa o nell’ambito della propria vita personale o privata ma nello svolgimento dell’attività lavorativa.

La prova può essere data anche in via presuntiva secondo il principio elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione: “nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità”.

Va ricordato che il decreto c.d. “Cura Italia” ha riconosciuto l’infezione da COVID -19 come malattia- infortunio sul lavoro ai fini delle prestazioni INAIL    

  • Violazione o mancata adozione dei protocolli anti-contagio da parte del datore di lavoro.

Si tratta delle misure di prevenzione e protezione contenuti dei vari DPCM emessi per far fronte all’emergenza e i Protocolli condivisi che integrano la normativa in materia di sicurezza sul lavoro di cui al Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro che il Datore di Lavoro ha l’obbligo di applicare.

 

 

Quali sono i reati ascrivibili al datore di lavoro in caso di contagio dal Covid -19.

 

Il datore di lavoro della società può incorrere nella responsabilità penale per i reati di lesioni personali gravi/gravissime (art. 590 c.p.) o di omicidio colposo (589 c.p.) - aggravati dalla violazione delle norme antinfortunistiche - qualora non siano state adottate le misure necessarie a prevenire il rischio di contagio dei lavoratori, cagionando la malattia o la morte del lavoratore.

In caso di morte occorrerà anche accertare – ovviamente tramite una valutazione medica- se la stessa sia stata causata dal solo COVID-19 o vi erano patologie pregresse che hanno aggravato il quadro clinico.

 

La colpa specifica del datore di lavoro può essere individuata nella mancata osservanza delle disposizioni del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro e quindi nella omessa o mancata integrazione della valutazione dei rischi (art. 28 D. Lgs. 81/08) specificatamente con riferimento al rischio biologico Covid -19 (art. 272 D. Lgs. 81/08) o nella omessa o insufficiente vigilanza sanitaria (art. 41 D. Lgs. 81/08).

 

Oppure nella mancata osservanza delle disposizioni del D. Lgs. 81/08 e, in particolare, dell’art. 18 che, tra gli altri, pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di:

      1. fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il RSPP e il Medico Competente;
      2. richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza e igiene sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione;
      3. adottare misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza;
      4. adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37; 
      5. astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un rischio grave e immediato.

 

La colpa specifica potrebbe essere individuata anche in caso di omessa o insufficiente adozione da parte del datore di lavoro contro il rischio biologico delle misure tecniche, organizzative, procedurali (art. 272 D. Lgs. 81/08) o igieniche (art. 274 D. Lgs. 81/08) o in caso di omessa informazione e informazione sui rischi per la salute dei lavoratori (art. 278 D. Lgs. 81/08).

 

Inoltre, poiché in astratto i reati di lesioni gravi/gravissime o omicidio colposo costituiscono reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex D. Lgs. 231/2001, potrebbe essere contestata alla Società la responsabilità amministrativa degli enti in relazione all’art. 25 septies D. Lgs. 231/2001 con la possibilità di applicare all’ente, in caso di condanna, sanzioni (i) pecuniarie che, in caso di omicidio colposo, possono arrivare fino a 1,5 milioni di Euro e (ii) interdittive (es. interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione/revoca autorizzazioni, esclusione agevolazioni ecc.).

Per ritenere sussistente la responsabilità amministrativa dell’ente, dovrebbe essere provato naturalmente che i reati di lesioni gravi/gravissime o omicidio colposo siano stati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Tale presupposto potrebbe essere ritenuto sussistente nell’ipotesi in cui la società abbia omesso di adottare le misure di prevenzione del contagio allo scopo di risparmiare sui costi per l’adeguamento delle misure di prevenzione o per incrementare la produttività, a scapito della salute dei lavoratori

 

 

Le violazioni delle disposizioni del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro integra di per sé – ovvero a prescindere dalle lesioni o dalla morte del lavoratore - delle fattispecie contravvenzionali punite con la pena dell’arresto o dell’ammenda.

Tali ipotesi di reato sono estinguibili mediante oblazione in sede amministrativa con il pagamento di una somma pari ad un quarto del massimo della ammenda (D. Lgs. 758/94) o dinanzi al Giudice Penale con il pagamento una sanzione pecuniaria pari ad un terzo (art. 162 c.p.), o alla metà (art. 162 bis c.p.), del massimo della pena prevista per la singola violazione.

 

Gli obblighi previsti dal Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro vanno integrati con i contenuti del Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 14/03/2020 aggiornato al 24 aprile 2020, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all’allegato 7, e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020.

 

Ai sensi dell’art. 2 comma del DPCM 26 aprile 2020 la mancata attuazione dei protocolli che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza. 

 

Quali sono le responsabilità del datore di lavoro nei confronti degli appaltatori e fornitori

 

Per quanto riguarda gli appaltatori e i fornitori il datore di lavoro ha l’obbligo di prevenire i rischi interferenziali (art. 26 D. Lgs. 81/08). Pertanto sarà ritenuto responsabile nelle ipotesi in cui non introduca misure di prevenzione volte a regolare e disciplinare l’accesso da parte dei terzi (es. fornitori, appaltatori) ai luoghi di lavoro.

Il datore di lavoro committente deve infatti verificare che la ditta appaltatrice abbia a sua volta adottato un sistema di misure a prevenzione del rischio da contagio dei propri lavoratori. Può adempiere a tale obbligo con la richiesta di autocertificazione circa l’adozione di misure di prevenzione da parte dei soggetti terzi o la stretta regolamentazione degli accessi presso i siti della società.

 

 

A cura dell’Avv. Barbara Bardesono

Studio Legale BARDESONO & PARTNERS


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