Stress da lavoro: un grave rischio per la salute

13 February 2024

Di stress da lavoro ci si ammala e si può anche morire. Gli stati d’ansia provocati da ritmi e condizioni produttive particolarmente gravose, possono sfociare in malattie professionali. Una concatenazione di eventi negativi che purtroppo non è sempre facile dimostrare al momento del processo, anche perché sui problemi psicologici possono incidere vari fattori, non sempre riconducibili al solo contesto professionale.

La Corte di Cassazione si è pronunciata a sostegno del legame tra malattie e stress da lavoro?

Due ordinanze della Suprema Corte di Cassazione sulla tutela dei lavoratori – la numero 29611 e la numero 31514, entrambe dell’ottobre del 2022 -   hanno però portato di recente nuovi argomenti, di carattere giuridico e anche di rilievo sociale, a sostegno del legame tra problemi di salute e stress da lavoro.

Entrambi i pronunciamenti hanno ritenuto ammissibili i ricorsi contro sentenze di merito che negavano un nesso tra malattia professionale e stress e che quindi escludevano indennizzi da parte dell’Inail. Nei suoi giudizi a favore delle due impugnazioni la Suprema Corte ha invece ricollegato la malattia professionale non solo ai rischi propri della specifica lavorazione o alla presenza di agenti patogeni – contemplati nelle tabelle del testo Unico 1124 del 1965 - ma anche a cause indirette, più genericamente riferibili all’organizzazione del lavoro e alle sue modalità di svolgimento.

Quali i criteri per valutare l’origine professionale della malattia?

Si legge nella sentenza della Sezione Lavoro della Cassazione numero 29611 dell’11 ottobre del 2022: “Nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l’origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso come rischio specificamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge”. Diventa infatti difficilmente sostenibile che “la tabellazione sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravvissuta ai fini dell’identificazione del rischio tipico, ai sensi degli artt. 1 e 3 del TU”.

È indennizzabile la malattia professionale dovuta all’ambiente di lavoro?

La tesi di un nesso tra malattia e stress da lavoro trova conferma, quasi parola per parola, anche nella sentenza numero 31514 della Sezione Lavoro della Cassazione del 25 ottobre 2022. “La malattia professionale – si precisa – è indennizzabile ai sensi del D.Lgs. n. 38 del 2000 art. 13 anche quando non sia contratta in seguito a specifiche lavorazioni, ma derivi dall’organizzazione del lavoro e dalle sue modalità di esplicazione”. L’importante è che “la malattia derivi dal fatto oggettivo dell’esecuzione della prestazione in un determinato ambiente di lavoro, seppur non sia specifica conseguenza dalla prestazione lavorativa”, perché “rientra nel rischio assicurato dall’art. 1, richiamato poi dall’art. 3 D.P.R. n. 1124 del 1965, non solo il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il rischio collegato con la prestazione lavorativa”.

Le figure dirigenziali sono le prime ad essere chiamate a una riflessione profonda sulla necessità di favorire e promuovere ambienti di lavoro più organizzati, dove l’efficienza si accompagni a procedure più trasparenti e chiare.

Al di là delle responsabilità aziendali e dei necessari interventi correttivi, più in generale i Governi, le organizzazioni sindacali e gli enti datoriali, sia nel settore pubblico e sia nel privato, sono sollecitati a elaborare strategie operative da condividere a livello internazionale per superare gli stati di stress, depressione e ansia. Condizioni di malessere che si sono diffuse durante la pandemia da Covid, ma il cui impatto resta anche oggi elevato.

Art.28 D.Lgs 81/08: obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato?

A livello europeo vige un accordo quadro – siglato dalle parti sociali nell’ottobre del 2004 – in tema di prevenzione dei rischi per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. In base a questa normativa spetta al datore di lavoro valutare le possibili ricadute di quello che viene definito “stress lavoro-correlato” e adottare le relative misure di prevenzione. La raccomandazione è stata recepita nel Testo Unico 81 del 2008. Qui, all’articolo 28, si impone al titolare dell’azienda di considerare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, tra cui anche quelli da stress lavoro-correlato. Sempre l’art. 28 impone l’obbligo per il Datore di Lavoro di predisporre sistemi di prevenzione contro i rischi lavorativi, ricettivi alle ricadute che i modelli di gestione del lavoro adottati possono avere sull’equilibrio psico-fisico dei lavoratori.

Cosa comporta trascurare la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato?

Troppo spesso l’obbligo di valutare i rischi per la sicurezza, e in particolare quello da stress, è stato liquidato come mera incombenza burocratica, e non correttamente apprezzato come occasione per ripensare modelli organizzativi e gestionali, magari consolidati, ma sempre meno rispondenti alla priorità di tutelare il benessere lavorativo.

Anche oggi l’esigenza di salvaguardare salute fisica e mentale dei lavoratori viene considerata secondaria, senza capire che tale atteggiamento costituisce già di per sé un vulnus nelle procedure di tutela degli addetti. Una mancanza grave, che può stare all’origine di una malattia, una lesione o anche un decesso con gravi risvolti penali. Non a caso l’omessa valutazione dei rischi lavorativi – ivi compreso quello da stress lavoro-correlato - è già considerata condotta penalmente rilevante, sanzionabile ai sensi dell’art. 55 del Testo Unico 81 del 2008. Una previsione che la giurisprudenza estende anche all’incompleta valutazione.

I danni da stress-lavoro correlato – per la mancata adozione di misure preventive - sono del resto anche materia di giudizio sul fronte civilistico e oggetto di corposi risarcimenti. Anche per questo – al di là delle ragioni etiche - al datore di lavoro conviene adottare le precauzioni indispensabili a salvaguardare l’integrità fisica e mentale dei suoi addetti ed aggiornarle via via, in parallelo all’evoluzione delle procedure e tecnologie legate all’attività.

Come dimostrare il legame tra le omissioni dell’azienda e il danno biologico da stress?

La tutela del lavoratore, sia sul fronte penale, sia su quello civile, impone comunque l’obbligo di dimostrare la connessione causale tra le omissioni del datore di lavoro e il danno biologico o morale subito dal prestatore d’opera a causa dello stress. Un compito gravoso, sia quando a rivendicare ristoro sia la persona lesa, sia quando a farsi avanti siano i parenti di un defunto.

Per quanto nel processo civile valga la regola del riconoscimento del nesso causale, secondo un giudizio di probabilità, le pretese di ristoro per lesioni da stress sono in concreto accolte di rado. Nel procedimento penale l’iter è anche più complesso perché l’onere della prova, a carico della Pubblica accusa, deve vincere la presunzione dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”.

Le difficoltà a dimostrare il nesso causale tra stress e malattia è aggravata da alcune criticità.

  • C’è innanzitutto la difficoltà ad assicurare l’uso processuale di una “buona scienza”, anche perché le parti coinvolte sono spesso del tutto all’oscuro dei meccanismi all’origine dell’evento infausto.
  • Si ha un proliferare nelle sedi giudiziarie di esperti spesso poco attendibili , laddove invece, per ricostruire la catena di causa ed effetti, giudice e parti debbono affidarsi a consulenti accreditati – scelti in appositi albi - portatori di un indiscutibile sapere scientifico, che possano sostenere la formazione di un giudizio obiettivo.
  • Inoltre, come si sa, l’insorgere della malattia è spesso il risultato di più fattori e, talvolta, di una patologia pregressa. Quindi uno stato di prostrazione famigliare o profili caratteriali particolari possono costituire un intralcio a individuare, con un ragionevole grado di certezza, quali cause abbiano determinato lo stress lavorativo.

Quali le responsabilità del D.L. nei danni da stress - lavoro correlati?

Il datore di lavoro – quando sia a conoscenza di situazioni di difficoltà famigliare o di problemi di salute che colpiscono un dipendente – dovrebbe essere comunque il primo ad evitare alla persona sofferente mansioni particolarmente pesanti e ad adoperarsi per rasserenare il clima di lavoro. Diversamente si potrebbe anche ipotizzare una lesione dolosa, volontariamente provocata – o non risparmiata – Il tutto, una volta giunti alla fase del giudizio, con aggravi di pena e, sul piano civile, con risarcimenti pesanti.

Qualora, poi, si dimostri che le lesioni o la morte del lavoratore sono la conseguenza di modelli organizzativi imposti a esclusivo vantaggio dell’impresa, scatta l’ulteriore responsabilità amministrativa da reato dell’ente. In questo caso la sanzione penale per la persona fisica è più lieve, ma assai più elevata per il soggetto collettivo, alle cui carenze sempre più spesso si riconducono i danni da logoramento lavorativo. Indurre stress può quindi costare caro, oltre che dal punto di vista della responsabilità penale, anche in termini economici e ancora di più sul fronte sociale, per le ripercussioni negative sulla reputazione e sulla credibilità del brand.

 


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